Un’estate da Giganti è un film bello e sorprendente. All’interno del filone dei film “di formazione”, solitamente abbastanza curati e coinvolgenti, Bouli Lanners scrive e dirige un lavoro di una certa originalità, riuscito da più punti di vista.
Si racconta di due fratelli, tredici e quindici anni, sostanzialmente abbandonati dalla madre nella casa di villeggiatura del loro nonno. Soli e senza soldi, stringono amicizia con un ragazzino della stessa età, si fanno dei gran cannoni, fanno esperienze più allucinanti che avventurose, con adulti tossicomani psicopatici e spacciatori.
Bouli Lanners, attore, pittore e regista (e sceneggiatore), riesce a svuotare il viaggio, i luoghi, le esperienze dalle connotazioni più calde e retoriche (dove la parola non ha un valore necessariamente negativo), immerge tutto in un realismo non senza tocchi iperbolici, duro nei contenuti, ma capace di conservare una mesta leggerezza. Il viaggio, inevitabilmente, ha un significato simbolico, ed è quindi costruito seguendo un’appropriata successione di eventi. Rispetto a Stand by me – l’opera più famosa nel genere – è spiazzante la semplicità con cui viene negata una vera crescita, anche perché non c’è niente per cui valga la pena maturare. Il percorso serve ai giovani protagonisti per acquisire una personale consapevolezza, ma la scoperta è amara e porta all’esplorazione di un mondo grottesco e irrazionale. Rispetto a Moonrise Kingdom – l’opera più recente nel genere – si perde, appunto, la possibilità della felicità. Nel film di Anderson la felicità esiste, ma il mondo adulto si arroga il potere necessario a vietarla; con Un’Estate da Giganti alle imposizioni provenienti dall’esterno si sostituiscono l’indifferenza e la violenza, e il mondo non sembra poter offrire altro.
È necessario, inoltre, citare la ricerca fotografica, i campi medi e lunghi a descrivere un territorio ampio e avvolgente – le location sono in Belgio e Lussemburgo – eppure anche questo svuotato, una natura che dà possibilità di fuga ma non rifugio. La costruzione dei tempi, distribuiti fra scene meditative e contemplative che svincolano dall’elegia e si alternano a esplosioni dell’azione, in un impianto solidamente narrativo. E la bravura dei tre protagonisti, che contribuiscono molto a creare l’atmosfera del film, consapevole e indifesa allo stesso tempo.
(4/5)
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