(3,5/5)
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Categoria Residuale II
Alice non Abita Più Qui (Martin Scorsese 1975). Uno Scorsese molto vicino alla commedia pura, incastrato fra Mean Streets e Taxy Driver. Ottimo ritmo in situazioni polverose nella prima parte, dove Ellen Burstyn, neovedova e aspirante cantante, gira per l’America col figlio e incrocia anche tipacci col volto imberbe di Keitel. Un po’ più seduta la storia con Kristofferson, dove la polvere va via, ma si costruisce anche l’atmosfera divertente che ispirerà il telefilm Alice. (3,5/5)
Holiday Dreaming (Fu-chan Hsu 2004). Avrebbe meritato maggiore approfondimento, ma è passato già un po’ da quando l’ho visto. Film Taiwanese, che al contrario dei coreani non deludono quasi mai. È un prodotto pensato anche per il mercato estero, e sono infatti evidenti i riferimenti al giapponese Kikujiro, capolavoro di un Kitano capace, allora, di affascinare la critica e contemporaneamente batter cassa anche in occidente. A legarlo ai compatrioti Tsai Ming Liang e Hou Hsiao Hsien, la dedizione al pianosequenza e il quadro fermo (tranne che per rari movimenti di macchina, ma legati solo a motivi pratici e non espressivi), ma un tono nel complesso molto più leggero, almeno fino alle soluzioni silenziosamente drammatiche e malinconiche. Film di viaggi, amori, amicizie e scherzi giovanili, non unico ma bello. (3,5/5)
E ora due Ghibli. Pom Poko (Isao Takahata 1994). Il compare di Miyazaki è il colpevole autore di Una Tomba Per le Lucciole, una delle cose più straziantemente strazianti che sia dato vedere. Bellissimo, ovviamente. Pom Poko, dal nome che porta al fatto che ha per protagonisti procioni buffi e trasformisti impegnati in una campagna ecologista, lo si potrebbe scambiare per un film d’animazione leggero e fanciullesco, lineare e didattico. Non è così, è una cosa molto più grossa e complicata. I procioni sono sì buffi, ma da subito la storia accoglie anche delle vicende e un’immaginazione adulte, in una commistione radicale di registri e messaggi. La forma-cartone è al servizio di un racconto complesso, e ha il vantaggio, rispetto ad un film “reale”, di concedere all’autore la massima libertà creativa. Anche se ricorsivo nell’intreccio (vari attacchi dei tanuki (i procioni di cui sopra) agli umani, e viceversa), Pom Poko offre esplosioni psichedeliche e orrorifiche strettamente legate alla mitologia e le leggende giapponesi, e brusche incursioni nel realismo, sempre con un’ottima animazione variabile nello stile e nel dettaglio. (4/5)
Al contrario, Il Sussurro del Cuore (Whisper of the Heart, Yoshifumi Kondo 1992), non ha nessun motivo per essere un film d’animazione e, a conti fatti, lo studio Ghibli ne ha fatti parecchi, di passi falsi. Scritto da Miyazaki, tratto da un manga, lo stile grafico ricorda parecchio quello di Hayao, ma è una noiosissima storiella romantica preoccupata di sottolineare tutte le sue banalità. Per la prima volta calza la definizione demenziale di “manga” data lustri fa da Farinotti e inserita nella recensione di Akira (!): “manga giapponesi, storie disegnate che hanno le caratteristiche delle soap-opera americane”. (2/5)
Infine, Southland Tales (Richard Kelly 2006). Che sia brutto non c’è dubbio. Però un brutto strano, con ogni tanto delle sequenze notevoli e una ricerca dell’immagine abbastanza costante. Film contorto e apocalittico, amplifica e seppellisce le smisurate ambizioni nello stare sempre sopra le righe, nel voler confondere il vacuo col solenne e viceversa. Per qualche motivo non mi sento di buttarlo via. (3/5)