Un po’ di serie tv abbastanza recenti, alcune ottime

Le serie migliori viste abbastanza di recente:

Expats, Now tv, una stagione autoconclusiva. A capo della serie c’è la cinese Lulu Wang, e si vede la mano unica che rende Expats una serie attenta alla regia e alla costruzione dell’intreccio in modo filmico. Una storia, anzi più storie drammatiche molto ben gestite, con due o tre episodi che spiccano, che si concentrano su personaggi o episodi laterali. 4,5/5

Feud 2 Capote vs. The Swans, Disney+. Anche questa una serie antologica, questa seconda stagione in gran parte affidata a Gus Van Sant, che dirige cinque episodi su otto. Regia elegante e pulita, riuscitissima costruzione di Truman Capote, interpretato da Tom Hollander. Ne esce un personaggio totale, innamorato di sé e autodistruttivo, aguzzino e vittima, vanesio e concretissimo, per un racconto centrato e specifico eppure dal respiro straordinariamente ampio. 4,5/5

Feud 1 Bette and Joan, Disney+. La faida al centro della prima stagione è quella tra Joan Crawford e Bette Davis. Meno sorprendente della seconda, meno sfaccettata, ma vale la pena, soprattutto per Susan Sarandon. 3,5/5

Ripley, Netflix. Nuovo adattamento del romanzo di Patricia Highsmith, in una serie da otto puntate. L’impostazione è praticamente opposta a quella del film del 1999, se quello era veloce e pop, la serie guarda ai film d’autore, con una fotografia ricercata in bianco e nero, la dilatazione dei tempi, la scansione lenta delle vicende ricche di dettagli. Come atmosfera e gestione dei tempi mi ha ricordato Cortesie per gli ospiti, libro e film che mi piacquero molto. La fotografia all’inizio mi era sembrata piuttosto patinata, ma la percezione cambia man mano che l’aura disturbante del protagonista (un Andrew Scott in una caratterizzazione assolutamente efficace) acquista spazio e densità, portando anche le immagini a un altro livello, tanto che anche le più “innocenti” appaiono intrinsecamente ambigue. 4/5

The Midnight gospel, Netflix. Bizzarrissima serie che trasforma in animazione lisergica alcuni dialoghi del podcast di Duncan Trussell. 4/5

Fargo 5, Now tv. Noah Hawley è probabilmente il migliore autore per la tv in circolazione. Questa ultima stagione della serie antologica ispirata al film dei Coen ha uno stampo molto femminile e femminista, è fatta molto bene, con picchi di crudeltà e molti momenti notevoli. Bravissime Juno Temple e Jennifer Jason Leigh. 4/5

The gentlemen, Netflix. Distillato di Guy Ritchie, che espande il mondo del suo film omonimo. Veloce, sbarazzina, pulp quanto basta, un po’ ripetitivo ma mantiene quello che promette. 3,5/5

Reservation dogs, Disney+. Conclusa in tre stagioni, la serie che ruota attorno al nome di Taika Waititi non è molto conosciuta, ma è una delle cose meglio riuscite che si possano trovare in circolazione. Al centro, la vita di una comunità di nativi americani nelle zone rurali dell’Oklahoma. Guarda al meglio del cinema indipendente di formazione e, in generale, del racconto di storie identitarie. Se la prima stagione era più concentrata sulla presentazione del gruppo di ragazzi, la seconda un po’ discontinua, ma utile alla costruzione del tutto, la terza mette a fuoco il suo scopo, cioè fare un racconto che riguardi l’intera comunità. E lo fa davvero bene, curando per ogni protagonista la sua individualità e personalità e relazionandolo agli altri e ai personaggi secondari, riuscendo a rendere essenziali anche questi ultimi. Reservation Dogs mescola registri e dimensioni, conservando sempre una scrittura comune che rende omogeneo un racconto fatto anche di episodi. Ha anche dei tratti “magici”, non gratuiti ma, alla Marquez, funzionali a esprimere e amplificare personalità e desideri, che non impediscono alla serie di regalare una sensazione quasi documentaria. Anche grazie agli interpreti, tutti bravissimi, naturali e dai volti perfetti, che rendono possibile la commistione fra assurdità e realismo, fra dubbi e dolori profondi ed eventi minimi, descritti con tutto il tempo e la leggerezza necessari. Colonna sonora, anche questa, spettacolare. 4,5/5

Blue eye samurai, Netflix. Serie animata che riesce bene nella componente visiva e nella costruzione del ritmo, non è del tutto fluida nell’intreccio. Comunque spettacolare, provano a propinarci di molto peggio. 3,5/5

Gen V, Prime. Non mi fa impazzire The Boys, di cui Gen V è uno spin-off, riuscito meglio della serie madre. Più centrato sulla storia, meno fracassone e autocompiaciuto, comunque grandguignolesco, ma quanto basta. 3,5

Somebody feed Phil, Netflix. Arrivato alla settima stagione, i viaggi di Philip Rosenthal, che gira il mondo mangiando entusiasticamente di tutto, non stancano mai. 4/5

Solar Opposites, Disney+. Serie d’animazione fuori di testa, degli autori di Rick e Morty, conclusa in quattro stagioni. Spesso fa molto ridere, alcune invenzioni sono geniali, non è una roba per bambini. 4/5

Serie tv così così, che comunque ho finito di vedere o sto vedendo ancora:

Fallout, Prime. Come The Last of Us, è una serie tratta da un videogioco postapocalittico, come The Last of Us è uno dei maggiori successi recenti. Questo ha un’impostazione da fumettone spudorato in cui vale tutto, e mi sta anche bene, ma non sempre riesce a tenere il ritmo e il fatto che strizzi spesso l’occhio ai b-movie fa sì che spesso somigli a un b-movie. 3/5

Baby reindeer, Netflix. Se n’è parlato molto, troppo, anche se mi sono fatto la mia idea, non starò a dilungarmi sulla psicologia del personaggio, dell’autore e dell’uomo con cui condividiamo il mondo reale, che sono sempre la stessa persona. La fattura del prodotto è mediocre, tutto il mondo si è gettato in questa specie di faida cercando vittime e colpevoli, con una certa morbosità violenta e ricorsiva che mi spinge ad allontanarmi da tutta l’operazione. 2,5/5

Shogun, Disney+. Ha avuto un enorme successo, o almeno così ci dicono. A me è sembrata una serie molto vecchio stampo, che probabilmente ha affascinato chi con il le serie e il cinema giapponesi non ha molti contatti. Con l’eccezione di un paio di episodi (bello l’ottavo, di Emmanuel Osei-Kuffour, che però non ne ha diretti altri), visivamente non offre poi tanto, mentre l’intreccio, romanzato e melodrammatico, mi ha fiaccato nell’affastellarsi di nomi e vicende patetiche (cioè cariche di molto pathos) assortite. 2,5/5

Hacks, Netflix, deve avere un buon ufficio stampa, visto che ogni tanto incrocio articoli che proclamano si tratti della migliore comedy da alcuni anni. Buono l’inizio, le prime tre o quattro puntate, poi mi sembra cali un bel po’, gira sempre attorno alle stesse cose e, nel farlo, non fa poi così (sor)ridere. 2,5/5

Murder at the end of the world, Disney+. Una roba di gente sperduta in un villone / avamposto artico in cui si sviluppano nuove tecnologie, con intrighi, noiosi flashback, omicidi, ricconi, sedicenti geni, tutto trattato male. Io non sono un espero né un appassionato del genere, ma la soluzione è quella che si intuisce subito. Lento, incoerente, davvero poco da offrire, finito per tigna. 2/5

Abbandonati, perché ognuno incarna efficacemente, seppure a modo proprio, il concetto di Noia Mortale: Billions (all’uscita di Damian Lewis), Hazbin hotel, Ragazzo divora universo, Carnival row, Notte di mezza estate, Bodkin

Sto vedendo: Il simpatizzante, su Now tv, diretto da Park Chan-wook, sembra fico.

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