Qualcuno ha già notato come l’America, più di ogni altra cosa, tenga a Matt Damon. Da Salvate il Soldato Ryan, a Interstellar, a The Martian, recuperare Matt Damon è un’attività che ha impiegato una quantità ridicola di risorse economiche e umane. Bene, Mark Watney, che altri non è se non Matt Damon (raramente Matt Damon è qualcuno di troppo diverso da Matt Damon, come accadeva alle star del cinema classico) rimane solo su Marte. All’inizio era in compagnia, poi una tempesta marziana sembrava l’avesse ucciso e il gruppo fuggendo dal pianeta ostile, seppure a malincuore, l’ha mollato lì. Avrebbero dovuto sapere che non è così semplice accoppare Matt Damon. Se c’è qualcuno che ci tiene alla pelle, questo è Matt Damon.
Dunque abbiamo un botanico – questo il suo ruolo spaziale – abbandonato su Marte con scarse risorse a disposizione. Pochi viveri, tecnologia insufficiente a permettergli di lasciare il pianeta, nessuna compagnia. Ma invece di fare quello che farebbe ogni persona ragionevole, ovvero mettersi in un angolo e aspettare di morire, Watney comincia a industriarsi, affrontando un problema alla volta. Creare del cibo, cercare un modo per contattare la Terra, affrontare asperità ambientali e logistiche apparentemente insormontabili. Watney studia gli elementi che costituiscono il caos che gli sta attorno, il suo limitato mondo, e li mette in ordine. Watney Damon studia le possibilità, considera cosa c’è di rotto o di sbagliato, si attiva e mette tutto a posto. Proprio come l’America. Per questo l’America ha tanto a cuore Watney Damon, perché è una piccola America.
Oltre questo, c’è anche da vedere un film. Ridley Scott ha fatto di peggio (avoja), ma di certo anche stavolta, come nell’ultima ventiquattrina d’anni, non mette la firma su niente di particolarmente epocale o memorabile. The Martian è un pulito sfoggio di pensiero laterale, innocente incontro fra Apollo 13 e Cast Away (che peraltro non ho mai avuto voglia di vedere per intero), condito con la stessa bonaria retorica. Matt Damon la parte del one man band la regge (ci sono anche altri nomi, anche celebri, ma si vedono assai poco), non si lascia andare allo sconforto, affronta il tutto con una certa ironia, e questo, da una parte, rende il film di facile visione, dall’altra lo definisce come esperienza ammiccante e innocua. Rimangono l’attenzione al rispetto delle leggi della fisica (cosa che sembra interessare a molti, a me francamente molto meno), la verosimile (ri)costruzione del pianeta rosso, dello spazio e delle sue leggi, il fascino da settimana enigmistica che ci solletica ogni volta che il protagonista riesce a risolvere un rompicapo.
(3/5)
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cast away oltre a essere la più lunga pubblicità della storia è anche un bel film, comunque. vedilo!
od
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D’altronde nei confrointi di Jason Bourne non è che l’America si sia compotata poi così bene. Forse adesso ha sensi di colpa.
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sono agghiacciato.
“produci consuma crepa” gli fa un baffo. qui è piuttosto: “produci tutto il tempo, consuma il meno possibile, e non hai manco il diritto di crepare”.
e, in cambio, non solo non hai diritto a un’esperienza psichedelica (2001), ma manco alla patata (interstellar).
al massimo, esci in tv.
ob
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Non è facile, la vita di Matt Damon. Ma il sorriso gli rimane sulle labbra. Un filmetto, niente di più.
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