The Menu (Mark Mylod 2022) è un piccolo film, veloce, ben recitato. Un po’ di mistery alla Agatha Christie, con le forti caratterizzazioni dei personaggi, e di critica alla The Square, non raffinatissima ma d’effetto, su come l’eccesso (di ricchezza, di successo, di vanità) possa privare le persone di uno scopo. Un impianto teatrale con sprazzi di Grand Guignol, dove Anya Taylor-Joy, Ralph Fiennes e Nicholas Hoult si muovono con disinvoltura. Su Prime. (3,5/5)
Aftersun (2022) è il film d’esordio della scozzese Charlotte Wells, e ha molto del cinema silenzioso, meditativo, portato avanti con pochi mezzi, che si trova nella produzione giovanile e indipendente più o meno di ogni parte del mondo. Tolta l’aura sovrannaturale data dalla ricchezza, Aftersun ha molto in comune anche con Somewhere di Sofia Coppola, compresi dettagli come il braccio fasciato del protagonista e le riprese in piscina. Aftersun è l’estate di un padre con la figlia undicenne, le scoperte, le situazioni malinconiche, lo sguardo distaccato sugli ambienti e gli spazi che si alterna ad immagini sgranate, filtrate dalla memoria di una videocamera. Tutto in Aftersun, che è un buon film, sincero, sa di nostalgia e rimpianto. Candidatura all’Oscar per Paul Mescal. Si vede su Mubi. (3,5/5)
Gli Spiriti dell’Isola – The Banshees of Inisherin (2022) doloroso, rigoroso, diretto e recitato davvero bene, è il primo film di Martin McDonagh che mi abbia convinto a pieno. Nonostante la brevità di questi appunti, vorrei passasse l’idea che si tratta di un filmone, come ormai ne fanno pochi. 1923: in una sperdutissima isola irlandese, mentre da lontano arrivano echi della guerra civile, due (ex) amici alimentano fra loro un conflitto sempre più aspro e insensato. Con una scrittura di una precisione commovente, McDonagh non descrive le differenze fra i due, ma le vicinanze, e in questo modo racconta l’autolesionismo della guerra con grande efficacia. Sullo sfondo, una strega shakespeariana sottolinea l’ineluttabilità di ogni cosa. Niente è forzato o gratuito, i tempi e gli spazi sono gestiti alla perfezione, e Colin Farrell e Brendan Gleeson sono qui dei giganti. Ha ricevuto svariate nomination all’Oscar, e meriterebbe tutti i riconoscimenti principali. (4,5/5)
Con Le Vele Scarlatte (2022) Pietro Marcello riprende la strada della fiction inaugurata da Martin Eden. Lo fa con una storia lieve, una fiaba tratta dal romanzo di Aleksandr Grin del 1923 (anno che ritorna). E anche qui, pure se in un film molto diverso, al centro c’è il rapporto fra un padre e sua figlia. Marcello stavolta è più lineare, confeziona un film bello da vedere che ricorda il Garrone de Il Racconto dei Racconti senza essere mai superficialmente estetizzante, grazie alla capacità di dare forza alle immagini rendendole memoria e confondendole con la memoria stessa. Fortissima la figura di Raphaël Thierry, un uomo che sembra ricoperto da strati di corteccia, le enormi mani nodose e piene di solchi, che mostra costantemente la sua fragilità. (4/5)
Pur essendo un film ostentatamente assurdo, caleidoscopico e sopra le righe, anche al centro di Everything Everywhere All at Once (Daniel Kwan e Daniel Scheinert 2022) c’è il rapporto fra un genitore, stavolta una madre, e sua figlia. Chiassoso, spesso esilarante, forse il miglior titolo su quello che in questi anni è diventato un filone estremamente prolifico, quello dei film e le serie che si aprono sul multiverso. Il film unisce i voli pindarici della Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams con suggestioni alla Matrix e scene d’azione strabilianti quanto eccentriche, portando il tutto a ruotare attorno all’amara riflessione sull’esistenza che può schiacciare un’adolescente. Il film è così ricco e spudorato da non rinunciare a momenti di demenza purissima che, nelle infinite possibilità delle cose, hanno tutto sommato piena cittadinanza. L’opera dei Daniels, anche se probabilmente in poche categorie è davvero favorita, ha ricevuto un numero smodato di nomination all’Oscar, dove quel numero è undici. (4/5)
Pinocchio di Guillermo del Toro (2022), non ricordo più tutti i motivi per cui ho trovato terribile questo film d’animazione a passo uno. Ad ogni modo, pur non essendo un fan sfegatato del libro di Collodi, credo che una delle cose più interessanti sia la sua struttura libera, frammentaria, paratattica. Del Toro snobba completamente il testo originale e costruisce una storia narrativa nel modo più classico, una sceneggiatura americana, tendenzialmente disneyana, con tutti gli snodi obbligatori al posto giusto e una buona dose di action. Alla base, come aveva fatto (molto meglio) nei suoi primi film che ruotano attorno al franchismo, ampi riferimenti alla dittatura fascista, anche qui senza dare una lettura che giustifichi la scelta, ma utilizzando la cornice per qualche sberleffo e per calare i personaggi nella totale normalità dell’intreccio. Rischia di vincere l’Oscar per il miglior film di animazione. (2/5)
Per finire, un paio di serie. Makanai (2022), 9 episodi su Netflix, è prodotta e in parte diretta da Kore-eda. Tratta da un manga di Aiko Koyama che ricorda il Taniguchi più zen e quotidiano, è il racconto corale, ambientato a Kyoto, di un gruppo di aspiranti maiko. Praticamente privo di conflitti espressi, Makanai è ricco di dettagli, di pensieri, di cultura e di vita. Probabilmente una delle mie serie preferite. (4,5/5)
Copenhagen Cowboy (2022), su Netflix, è, dopo Too Old to Die Young, la nuova serie di Nicolas Winding Refn. Nella serialità Refn è anche più cattivo e radicale nella scelta dei temi e dei tempi, mentre si dà un freno su quanto sia possibile mostrare. Sempre più arty, è uno spettacolo di regia, di luci e musiche, di movimenti di macchina e gestione dei tempi, di desolazione umana e smarrimento in spazi squallidi e labirintici. Un prodotto non per il grande pubblico, ma che costruisce una protagonista femminile come se ne trovano poche. Piaciuto molto, spero NWR riesca a dare seguito al progetto. (4/5)