Antichi Maestri, recensione del libro di Thomas Bernhard (1985)

antichi-maestri-bernhard-libroBisogna superare i toni spenti della copertina Adelphi, su cui poggia la figura dipinta da Pieter Bruegel il Vecchio a illustrare il proverbio “A qualunque cosa io miri, non riesco mai a ottenerla: orino sempre contro la luna” (copertina che a fine lettura appare invece assolutamente perfetta). Bisogna poi affrontare l’impaginazione di Antichi Maestri, pubblicato dall’austriaco Thomas Bernhard nel 1985, che si sviluppa come un flusso di riflessioni che non consentono mai un semplice accapo, figuriamoci una scansione in capitoli o paragrafi. Bisogna superare questo per leggere un ottimo libro, singolare, originale, una prova letteraria che contraddistingue uno scrittore di prima grandezza.

La prosa di Bernhard ha un effetto strano. In sostanza si propone come un lungo resoconto, in cui una persona riporta il racconto altrui, ricordando quasi in ogni frase come le parole appartengano all’altro e in quale luogo siano state pronunciate. In tutta la sua struttura Antichi Maestri inquadra concetti, frasi, e poi li ripete ossessivamente, con variazioni minime, anche per intere pagine. Eppure quello di Bernhard non è affatto un libro noioso, e non è neanche un libro ripetitivo. Le spirali di parole danno forma al concetto, le variazioni minime e anche la ripetizione lo arricchiscono, l’esigenza di ribadire, l’impossibilità di abbandonare, rendono il concetto reale, umano, parte integrante dell’uomo che lo ha elaborato, l’anziano critico musicale Reger, così come riportato dall’amico Atzbacher.

Nella prima parte Antichi Maestri appare soprattutto come un’invettiva verso diversi esponenti della cultura occidentale, pittori, musicisti, filosofi, scrittori, preferibilmente austriaci e tedeschi, ma non solo. Un’invettiva che, oltre le critiche mirate e specifiche, individua l’impossibilità per l’arte di essere all’altezza delle nostre aspettative, individua la sua fallibilità, spesso il suo essere goffa e grottesca, kitsch e prezzolata, e quindi il suo essere sostanzialmente ingannevole. Subito stupisce come il libro, pur avvolgendosi sulle sue frasi, riesca a portarsi in modo del tutto fluido da un argomento all’altro, da un soggetto all’altro. Sembra una struttura ripetitiva, ma in realtà non lo è, sembra un’impostazione rigida, ma invece non lo è. Bernhard compie una specie di sorprendente morphing, un gioco di prestigio per cui, mentre sta scavando in un argomento, sta in realtà già costruendo le basi per portare il lettore, senza che se ne accorga, nel soggetto successivo.

Oltre che pagina dopo pagina, questa impostazione caratterizza il libro nella sua interezza. Mentre l’attenzione sembra focalizzata su una serie di riflessioni amare, sarcastiche, ma sostanzialmente distaccate, di considerazioni sul mondo, si insinuano elementi della vita personale di Reger. Finché l’inganno rappresentato dall’arte non si configura in pieno come una ferita personale, un tradimento che vede l’arte colpevole d’essere incapace di fornire un aiuto, nella perdita. Sarcastico, lucido, secco, Antichi Maestri compone una nuova versione del dolore, porta il lettore in una dimensione inusuale della partecipazione emotiva.

“Riempiamo la cassaforte del nostro spirito di questi spiriti magni e di questi Antichi Maestri e nel momento decisivo per la nostra vita ricorriamo a loro; ma quando l’apriamo, la cassaforte dello spirito è vuota, la verità è questa, siamo lì, davanti alla cassaforte dello spirito vuota e ci accorgiamo di essere soli e privi in effetti di qualsiasi risorsa, così Reger.”

(4,5/5)

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