Dune (Denis Villenueve 2021), recensione

Il Dune di Villeneuve è l’appropriato ritorno al cinema, per un mondo ancora alle prese con bollettini, teorie e tentativi, volti coperti. Un mondo che non è mai sembrato così piccolo, con ogni nazione a portare la propria reazione come fosse una sola persona, connotata dalla specifica risposta al virus. Quello di Dune non è un mondo, ma un universo; la scala è diversa ma il risultato simile, con interi popoli, plasmati dalle loro terre, a personificare un’indole definita, attitudini, ambizioni e debolezze. Dune si muove contemporaneamente su piani di grandezze infinitamente diverse: è la storia dell’individuo, della sua dinastia, del suo popolo in relazione agli altri popoli, dell’equilibrio complessivo.

Denis Villeneuve ha dato, con Enemy, una lettura fortemente personale de L’Uomo Duplicato, e ampliato molto il racconto di Ted Chiang, con Arrival. In questo caso, si mette al servizio del libro di Frank Herbert, trovando nella propria estetica la giusta base per dare spazio a buona parte delle suggestioni dell’autore. Il film può essere ancora più coinvolgente per chi non ha letto il libro, perché, al contrario di quello che si è sempre detto, la caratteristica di Dune sembra non essere l’infilmabilità, ma la completezza con cui può essere visualizzato, grazie alla minuziosità del racconto scritto.

Villeneuve fa un gran lavoro di sintesi, riportando quasi tutti i pensieri nella diretta raffigurazione e caratterizzazione dei personaggi – mentre la versione di Lynch era appesantita da un mormorio costante – e al tempo stesso rispettando i passaggi e dettagli fondamentali della storia, seguendo la scansione dettata dal testo scritto. Dune è principalmente la sua storia, un intreccio fortemente drammatico dove si mescolano l’incertezza e la necessità di apparire impassibili, tradimenti e nuovi legami, realismo e misticismo, politica e individualismo. Lontano dai supereroi seriali e dalle involuzioni sterili di Tenet, il film di Villeneuve offre la riscoperta della narrazione nel cinema mainstream. In continuità con Blade Runner 2049, i personaggi si muovono in spazi ampi, schiacciati fra cielo e terra, sono figure all’interno di quadri dai toni desaturati, alieni eppure strettamente collegati alla loro essenza.

Pure alcuni passaggi sono stati semplificati, in parte nell’ottica di una modernizzazione che sceglie di non dare troppo spazio agli aspetti lisergici del romanzo del 1965, in parte per normale esigenza di sintesi. In conclusione, si può apprezzare ancora di più la profondità e la completezza descrittiva del libro, e da adesso anche la capacità di un regista di portarla su un altro medium, di visualizzarla efficacemente.

(4/5)

10 pensieri su “Dune (Denis Villenueve 2021), recensione

  1. Ogni volta che ti leggo mi viene subito in mente perché il mio animo di cinefilo (ma più in generale di cultore dei prodotti di intrattenimento culturale) ti abbia eletto tra i miei tre personalissimi influencer: in un mondo di parolai e capolavorazionisti (che surfano sui superlativi assoluti) o di critici distratti (che si crogiolano sull’umorismo ad effetto delle loro stroncature, più inclini a copiaincollare che non a produrre contenuti originali), le tue recensioni sono sempre immancabilmente basate su una preparazione cinematografica di etichetta universitaria (in senso alto) ma non accademica, goduriosamente piena della conoscenza dei classici e che, come tale, mostra di saper riconoscere le invezioni stlistiche nuove e distinguerle dai riciclaggi celati e questo anche quando io mi trovo (raramente) in disaccordo con i tuoi gidizi fianali, cosa che, per altro, in questo non è minimamente accaduta.
    Un film molto chiacchierato questo Dune di Villeneuve, ma spesso a vuoto, passando dagli estremi di giornalisti che a Venezia chiedevano ai membri del cast conferma che Dune fosse un film di fantascienza (l’inviata di Canale 5), fino a quelli da quotidiano che facevano il loro sporco compitino (mescolando cartelle stampa e traduzioni di recensioni statunitensi): la tua recensione è una vera boccata di ossigeno.
    Splendida, perché figla di un pensiero ammirevole.
    Applausi.

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  2. È proprio questo che mi ha spinto ad elogiarti: la critica cinematografica dovrebbe svolgere un servizio, sia che rappresenti l’espressione di una teoria esttica e culturale personale (come fu per i Cahiers e la Nouvelle Vague), sia che propugni una teoria politica e di affrancamento sociale, sia infine che semplicemente illustri nel migliore dei modi possibile argomenti di riflessione ed una vera opnione estetica (come nel tuo caso), ma mai dovrebbe essere il placoscenico per egocentrismo d’accatto o semplificazioni miranti più all’approssimazione di comodo.
    Altrimenti meglio leggersi la Gazzetta…

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  3. Premessa importante: di cinema ne capisco veramente poco e non ho nessuna pretesa in questo senso. Detto questo: sono un cultore del vecchio film di Lynch, che ultimamente a quanto pare ha molti detrattori lo sciagurato regista è stato il primo a disconoscerlo aimè; sono andato a vedere l’attuale che ho apprezzato però, chiedo perchè non mi sembra che sia stato notato da altri, che Villeneuve abbia girato il fim con, chiramente, ben in mente il libro ma che non abbia affatto dimenticato i lavoro di Lynch, anzi che l’abbia tenuto come una sorta di riferimento anche visivo, qualche citazione mi sembra pure di averla colta.
    Sbaglio? Troppo legato sentimentalmente all’altro?

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  4. Ciao GC, per la verità mi ero riproposto di rivedere il Dune di Lynch, ma ancora non l’ho fatto. Di paragoni ne sono stati fatti tanti, da parte mia posso dire che quando l’ho visto, molti anni fa, già se ne parlava come di un film poco riuscito, invece molte scelte le trovai affascinanti e di effetto. La voce del pensiero invece la ricordo davvero molto ingombrante. Adesso ovviamente se ne riparla, ma mi sembra si sia anche riacceso un interesse per il film, che dovrebbe uscire fra pochi giorni in una nuova edizione in blu ray. Quella di Lynch è comunque una visione molto autoriale, mentre questo di Villeneuve è forse il suo titolo meno “sperimentale”. La mano di Villeneuve è evidente, ma più che altro quello di Herbert si è dimostrato un testo adatto ad accogliere le caratteristiche principali del cinema del canadese. Fra i due film (ma, ripeto, dovrei rivedere il primo) non vedo quindi grandi affinità d’impostazione, e quelle che ci sono credo derivino dall’aver trattato delle scene cardine che il libro consente già di figurarsi piuttosto bene.

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  5. Grazie per la risposta probabilmente ho visto qualcosa che non era on realtà nelle intenzioni del regista.
    A me la voce introspettiva di Lynch ha sempre affascinato e più che ingombrante l’ho sempre trovata caratterizzante… considerando che nel libro la ritrovo più vicina al film dell’84 che non all’attuale.

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  6. Bel film, capace di creare pathos, atmosfera, senso epico… Ma solo io ho colto un buco narrativo, forse presente anche nel libro, (che non ho letto), tra il momento in cui il giovane protagonista sembra rifiutare e ribellarsi al ruolo etero-imposto di salvatore e il momento in cui lo accetta come la cosa più naturale e scontata? Passa da un “come avete osato tracciarmi una strada forzata piena di assurde responsabilità e atroce dolore senza aver chiesto il mio assenso?” a “potrei diventare il figlio adottivo dell’imperatore e tra le altre cose migliorare le condizioni del vostro povero pianeta” senza che si capisca la maturazione di tale cambiamento. Il vuoto pesa, viene taciuta, lì dove ne viene mostrata la necessità, ogni evoluzione interiore che per quanto fiabesca, può portare un ragazzino a candidarsi a “salvatore dell’universo”. Proprio perchè non si è in un Marvel credo ci si aspetti un po’ più di completezza psicologica. Ciò che ho apprezzato di più invece è il ritmo calmo della narrazione, quasi d’altri tempi, che permette la costruzione di un mondo ampio.

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  7. Ciao Davide, non saprei. La storia porta un trauma notevole, nel film e nel libro, e anche il libro in sé lo ricordo più propenso a narrare fatti che a descrivere sconvolgimenti emotivi. Quindi questo scarto così pronunciato io non l’ho trovato.

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