Letture: Fiori per Algernon (Daniel Keyes 1966), Berta Isla (Javier Marías 2017)

Due libri che speravo mi sarebbero piaciuti di più. Fiori per Algernon, “capolavoro della narrativa di anticipazione”, come si proclama in prima e quarta di copertina, lo avevo più volte visto indicare come punto di riferimento per la fantascienza, la narrativa più o meno distopica, non so cos’altro. Racconta, in prima persona, la storia di Charlie Gordon, uomo con ritardo cognitivo sottoposto a un’operazione che ne accresce a dismisura le capacità. Una prima parte del libro faticosa, nel riportare per decine di pagine il diario sgrammaticato di Charlie. Quindi una lunga presa di coscienza delle angherie subite, quando non in grado di comprendere il trattamento sprezzante, o prevaricante, o peggio, perpetrato da persone e familiari nei suoi confronti. Una scrittura piuttosto piatta, un’impostazione da indagine psicosociale con tendenze alla commozione forzata (spoiler: un po’ come un Pinocchio che finisce male), non mi ha offerto spunti che non fossero prevedibili fin dai primi passi.

(2,5/5)

Ho apprezzato davvero tanto Domani nella Battaglia pensa a Me, avevo in programma da tempo un ritorno a Javier Marías. L’altissimo livello della scrittura di Marías è indiscutibile, l’impatto con Berta Isla è affasciante, avvolgente, una costruzione meticolosa dei personaggi prima di tutto, quindi dei tempi e contesti storici e infine delle vicende. Una scrittura estremamente descrittiva, tanto che ho pensato volesse essere, a volte, ostentatamente eccessiva nella sistematica specificazione dei dettagli. A cominciare dalla minuziosa disamina delle caratteristiche fisiche di ogni attore, passando per il prolungamento delle situazioni di confronto, diluite in pensieri interiori, rappresentazioni di gesti, ipotesi e citazioni. Sono assolutamente d’accordo con quanto dice Marías nell’appendice, ovvero che “la parte raccontabile del romanzo è solo quella che sarebbe possibile dire in poche parole qualunque” (ed è una cosa che che vale almeno altrettanto per i film), e che da preferire sono “quei dettagli o episodi che si manifestano o accadono senza un motivo, nella vita come nei romanzi, senza avere altro significato o rapporto con la storia che quello che l’autore o il lettore vogliono attribuirvi in base alle loro facoltà associative”. Quelle parti che quindi definisce come divagazione, digressione, inciso, invocazione lirica, invettiva, metafora proliferante e autonoma.

Tutto estremamente condivisibile, ma la mia lettura di Berta Isla mi ha portato a consideralo un libro dall’impronta estremamente definita, che non riesce ad affascinare con la sua costruzione per tutto il suo lungo svolgersi. Ad ogni modo, un secondo incontro con una scrittura eccezionale, da autore di letteratura vera, che quando sarà il momento giusto porterà a un terzo.

(3/3)

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