Crimes of the Future (David Cronenberg 2022)

Crimes of the Future, appunti disordinati. Il mio primo pensiero è andato a tutti quelli che, a Cannes, sono scappati via dalla sala nei primi 5 minuti: devono essere davvero persone di una sensibilità eccezionale. In generale, quest’ultimo Cronenberg vuole sì spingersi nei meandri della chirurgia sperimentale, ma non presenta cose visivamente insostenibili. Informazione che ognuno potrà interpretare in senso negativo o rassicurante.

Sinteticamente: non so quanto mi abbia convinto, non troppo. L’artigianalità del design degli oggetti futuristici e conturbanti, tecnologie ibridate con parti molli e cartilagini biologiche, è molto vicina a quella di Existenz e Il Pasto Nudo, ma la cosa mi ha lasciato un retrogusto di esibizionismo hipster. La sessualità, invece, è quella di Crash. Come Herzog con Grizzly Man, l’impressione è del regista che, a un certo punto, si lascia andare a mettere in scena esattamente tutto quello che hanno detto di lui e dei suoi decenni di carriera. E anche Cronenberg esegue questa operazione scrivendo in stampatello maiuscolo, facendo (ri)vedere tutto quello che ci si aspetta e poi spiegandoti a parole quello che hai appena visto. A voler essere cattivi, si potrebbe dire che a tratti è un film un po’ scemo.

Nell’estetica Crimes un suo fascino lo conserva, soprattutto negli ambienti così normalmente fatiscenti; nei momenti performativi, non va oltre quello che annuncia di voler fare. Altro titolo a cui si richiama è Videodrome, legandosi anche qui ad argomenti molto contemporanei, e affrontandoli in maniera esplicita e critica. La scrittura di Crimes, dello stesso Cronenberg, non è però all’altezza della complessità di un Cosmopolis, dove le visioni e le parole di DeLillo davano al tutto un tono e uno spessore davvero diverso.

(3/5)

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