Tenet e Mank, il cinema smarrito di Nolan e Fincher

Christopher Nolan e David Fincher sono così, forti ma sognatori, alla continua rincorsa di un’idea di cinema che porti il maggior numero di persone ad ammirare quanto sia originale e profonda la loro idea di cinema. Entrambi, per la verità, hanno fatto anche cose che ho apprezzato, ma non è questo il periodo storico giusto. Tenet (Nolan 2020), lo sappiamo tutti, doveva essere il film di rilancio dei cinema e della settima arte in tempi di Covid; è andato così bene che siamo in non si sa più quale ondata pandemica e i cinema hanno chiuso TUTTI. PER SEMPRE. Scherzo Chris, non è colpa tua, non tutta. Ma bastava vedere il trailer. Lo sanno tutti, la roba che va avanti lenta è epica, quella che va avanti veloce è ridicola, la roba che va all’indietro è fastidiosa. Ma è l’intera concezione di Tenet a essere anticinematografica. Realizzare una narrazione che ha bisogno almeno di una seconda visione per essere verificata nella sua plausibilità significa dedicarsi alla costruzione di una propria tesi in forma audiovisiva, non aver fatto un film. Molti elementi di lettura vengono dati dopo le scene, che spesso si coreografano in un casino, condito da elementi esteticamente fastidiosi, che non si ha coscienza del perché stia avvenendo. La storia è fredda e svuotata, sostituita da una serie di congetture narrative e una valanga di mcguffin, utili solo a mettere in scena un rompicapo, tralasciando i moventi logici delle azioni. Mank (Fincher 2020), diverso ma uguale. Film su cui, in verità, nutrivo più di qualche speranza. Pellicolona in bianco e nero – passata prima in qualche cinema americano e poi su Netflix – che segue Herman J. Mankiewicz, nel 1940, nel suo scrivere la sceneggiatura di Quarto Potere per Orson Welles. Il film dovrebbe essere qualcosa con ritmo, jazz, battute, sguardi sull’epoca e sui suoi controversi personaggi, sulla genialità e l’ossessione, sulla genialità l’alcool e la follia. Probabilmente sarebbe stato troppo semplice, quindi è tutto questo, ma facendo di tutto per non esserlo. Così i dialoghi sono spezzati, le scene concettualmente statiche, la fotografia e la regia simulano vistosamente gli anni ’40 senza ricercarne l’immediatezza del senso e la densità dell’immagine, così da svuotare sia il passato che il presente. Mankiewicz parla quasi sempre da solo, pur non essendo quasi mai da solo, Welles viene evocato nella sua minacciosa grandezza, ma non gli viene concesso quasi niente. Si è forse voluto evitare un film banale, ma non ho trovato un altro tipo di fuoco, si è voluto evitare un tono celebrativo dei tempi e degli uomini, ma lasciando la celebrazione inespressa al centro del discorso. L’impressione è che Fincher abbia ritenuto che qualsiasi cosa avesse fatto sarebbe stato grandioso, soprattutto se avesse mostrato di non volerlo essere. Mi piace molto il cinema decentrato, quello che si perde nella visione totale, nel tempo che passa e non nei suoi personaggi, ma alla sua base c’è l’amore per il cinema in sé; qui, al contrario, l’amore è solo per il proprio cinema. Dunque, per questi due titoli, la definizione che mi viene in mente è quella di cinema smarrito.

Tenet: 2,5/5
Mank: 3/5

3 pensieri su “Tenet e Mank, il cinema smarrito di Nolan e Fincher

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  2. Tenet: grazie alla tua recensione, caro Giuseppe, non ho avuto grosse aspettative e ho finito per apprezzarlo. Un Nolan è sempre un Nolan e va visto a prescindere (o quasi), quindi alla fine l’impressione è questa: esagerato e tirato all’estremo, ma sempre notevole. Con l’accortezza di non cercare la minima logica in ogni paradosso spazio-temporale messo in scena, in questo caso si arriva ai paradossi di paradossi di paradossi. La chiave della godibilità e anche il senso del film, credo, sta nel seguire l’azione, lasciarsi immergere nella splendida fotografia, con un senso del ritmo perfetto e un comparto scenografico e di effetti speciali ottimamente oliati, fingendo che possa esistere universo parallelo in cui le leggi della fisica e della logica possano essere invertite. Invertite essere possano.

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  3. Alla fine Nolan lo si vede, perché si ha voglia di scoprire l’idea del caso. Non è il modo migliore per fare cinema, ma è sicuramente un modo che stuzzica la curiosità. Tenet mi è sembrato il suo peggiore, e credo che l’intenzione dell’autore sia lontana dall’invitare lo spettatore a “lasciarsi andare”. Anzi la vanità di Nolan sta nel voler creare un sistema logico alternativo.

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