Mulan (Niki Caro 2020), Ad Astra (James Gray 2019), Medianeras (Gustavo Taretto 2011), due film migliori di come li si dipinge e un outsider

Non voglio fare, come ho visto in giro, la misurazione dei decametri (era tanto che volevo usare questa parola) di femminismo persi o guadagnati, rispetto la versione animata di Mulan, anche perché di quella ricordo poco, soprattutto un senso di noia. Forse ero già troppo vecchio, quando l’ho visto. Adesso, invece, che l’ulteriore senilità mi ha riportato un tollerante sguardo giovanile (ah ah, non è vero), mi viene da dire che questo film di Niki Caro sia la prima trasposizione live di un classico Disney di cui vedo un senso. Il primo che tutto sommato assomiglia a un film, naturalmente un film per famiglie, per quante più famiglie possibile. Sì, è un wuxiapian americano, ma non un brutto wuxiapian. Le coreografie, come sempre vicine alla danza, hanno un loro fascino, gli effetti speciali sono bene integrati, i paesaggi aperti sono a effetto ma il loro effetto lo fanno, gli attori sono azzeccati. Mulan è un film di guerra, d’avventura, di smarrimento e rinascita del protagonista come sarebbe un film per adulti dello stesso genere, con scontri che lasciano sul campo morti e feriti, con l’unica ovvia differenza che non sono sporchi di sangue. Due ore di intrattenimento che funziona, non sciocco e visivamente valido. (3,5/5)

Con Ad Astra, a dispetto delle reazioni spesso non entusiaste che ha suscitato, prosegue il mio graduale riavvicinamento a James Gray. E il film ha molto in comune con Civiltà Perduta, su tutto la chiara discendenza da Conrad / Apocalypse Now. Brad Pitt è l’indiscusso protagonista, che attraversa inimmaginabili distanze spaziali alla ricerca di suo padre (Tommy Lee Jones), novello Kurtz, pioniere ed esploratore siderale i cui metodi sono diventati “malsani”. A Brad Pitt, va detto, non ne va una bene; posto già di fronte a un’impresa improbabile, per procedere in ogni sua mossa deve trovare come disinnescare il peggior scenario possibile, che puntualmente si ripropone. Da qui, inutile negarlo, nascono alcune scene che richiedono davvero una generosa offerta di sospensione dell’incredulità. Eppure Ad Astra, che è accompagnato dalla riflessione costante del figlio all’epica ricerca della comprensione del padre, offre uno sguardo esterno sempre efficace, un’azione immersa nel silenzio affascinante anche quando improbabile, una versione malinconica e al tempo stesso frenetica del vuoto universale che ha una sua originalità. (3,5/5)

Medianeras – Innamorarsi a Buenos Aires, è un piccolo film del 2011 dell’argentino Gustavo Taretto. Che mi sembra, invece, abbia avuto nel suo giro un discreto successo. Che si tratti di una versione estesa di un corto precedente è abbastanza evidente, soprattutto perché è uno di quei film che si reggono su un tono e un’idea; non è però eccessivamente stiracchiato, anzi è garbato, misurato e piacevole. Mi ha molto ricordato il racconto lievemente stralunato e ironico di Hong Kong Express, la rappresentazione di due tracce sentimentali parallele che lasciano indizi più o meno inconsapevoli, per provare a definirsi, sperando che qualcuno possa decifrarli. Anche le voci over hanno un ruolo simile a quello del film di Wong Kar-wai, e lo sguardo è elegantemente freddo, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare a quelle latitudini. Una storia che contiene tante piccole storie, incroci, riflessioni sul sé che si descrive nei rapporti con gli altri, un racconto che si muove agilmente fra le architetture di Buenos Aires, fra edifici bizzarri e dettagli nascosti. (4/5)

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