The Lighthouse (Robert Eggers 2019)

The Lighthouse è un film diverso, antico e sperimentale, un caso il cui il richiamo al David Lynch di Eraserhead può avere un senso. Perché quello di Robert Eggers è un film pieno di immagini e atmosfere, credibili quadri inconsci connessi fra loro, ma in cui ognuno possiede una forza propria. Non è un film rompicapo, non sarebbe utile cercare una chiave di lettura univoca, avendo The Lighthouse una moltitudine di significati palesi e nascosti, di suggestioni filmiche, pittoriche, e letterarie contemporanee e primordiali, da cui sviluppa una forza primitiva e un’ambizione avanguardista. C’è più di un buon articolo che riporta almeno parte dei riferimenti a cui guarda il film, fra quelli dedotti e quelli espressi dagli autori (la scrittura è di Robbert Eggers e del fratello Max, partita dall’ultimo racconto di Poe, Il Faro, per andare altrove). Sono tutte indicazioni interessanti, a partire da quella degli Eggers, che mette al centro un conflitto fra Proteo e Prometeo. Come significative sono le scelte tecniche, che oltre a un formato quasi verticale presentano un cromatismo in cui il bianco e nero scurisce i toni rossi fino a rendere il sangue pece e accentuare le imperfezioni e i dettagli dei volti, mostrificandoli.

Robert Pattinson è Prometeo, Willem Dafoe è la divinità marina multiforme Proteo – bravissimo il primo, monumentale il secondo -, entrambi sono anche semplici esseri umani in perpetua macerazione, che consumano la loro reclusione, l’incontro e gli scontri, su un’isolotto che il mare – assoluto, terribile – minaccia costantemente d’inghiottire. Sono ulteriormente rinchiusi nelle architetture fatiscenti e labirintiche dalle volute espressioniste in cui perdono loro stessi e i loro nomi, rincorrono le loro storie. Thomas Howard e Thomas Wake esercitano fra loro la violenza e la sopraffazione, ma si tengono anche in vita cercando nell’altro la testimonianza della propria esistenza, infieriscono l’uno sull’altro come una vecchia coppia provata dalla routine, mostrano una cupa attrazione reciproca e diffuse ossessioni sessuali. La furia della natura fuori dalle mura e la ripetitività delle azioni riportano al Béla Tarr di The Turin Horse, gli ambienti invasi dall’acqua in cui galleggiano il caos, la sporcizia e la disperazione che i due affogano e nutrono con l’alcool e col petrolio, ritrovano i fluidi dell’Elemento del Crimine, di un giovane von Trier che inquinava le acque di Tarkovskij.

Nel contendersi la scena, Tommy e Tom prendono i loro racconti dalle ballate marinaresche come dalle tragedie e i miti greci, mescolano ricostruzioni personali a smarrimenti universali, portano nella realtà esseri inumani, ad incarnare timori e pulsioni. Tra le diverse suggestioni, l’incontrollabile istinto malsano e affascinante, che talvolta il cinema torna a mettere in scena, a cercare il contatto con l’alieno, l’ignoto, il proibito, che non è la curiosità verso l’esterno, come negli Incontri Ravvicinati con i rassicuranti umanoidi spielberghiani. È, piuttosto, una ricerca disperata condotta guardando il proprio interno, lasciandosi dissolvere in un ambiente più ampio, come la Zona di Tarkovskij o quella di Annientamento, o anche nello spazio incomprensibile di The Expanse, o cercando il vero e proprio contatto, potente e implausibile dilatazione di un istante, con una forma indefinibile, con la fiamma del faro che attira l’azione più diretta e rappresentativa di Prometeo. Un atto attraverso cui l’eroe si consuma consapevolmente, una ricerca cosciente e autodistruttiva della punizione, che viene dal tentativo di trovare una propria definizione.

(4,5/5)

2 pensieri su “The Lighthouse (Robert Eggers 2019)

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