Una paccata di libri, letti più o meno da agosto 2023

Libri letti o ascoltati, ché con la fruizione inflessibile degli audiolibri sto recuperando anche un po’ di classici abbandonati in gioventù. Questo facevo in gioventù, abbandonavo i libri. È una di quelle cose che mi rendono così simile a James Dean, o al Peter Fonda di Easy Rider. Alcuni ho fatto bene a recuperarli, su altri la mia sfrontata giovinezza aveva ragione.

1984, George Orwell 1949. Romanzo che è diventato una sorta di Bibbia, soprattutto per chi non l’ha letto. Le riflessioni di Orwell sono lucide quanto esplicite, ripetute, ribadite attraverso esempi, poi ancora ripetute attraverso le vicende – davvero basilari – che la vita impone ai personaggi, infine ripetute e indicizzate in un pratico glossario a fine testo. 3/5

Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Alice oltre lo specchio, Lewis Carroll 1865 e 1871. Mi è sempre piaciuta Alice, ma non avevo mai letto integralmente i libri di Carroll. Mi piace per la sua modalità narrativa, un viaggio libero in cui Alice è soprattutto un’osservatrice, senza un intreccio scandito o una saggia costruzione dei personaggi. Ovviamente è un capolavoro fondamentale della letteratura mondiale, c’è poco da dire. 5/5

I miei premi, Thomas Bernhard 2009. Bernhard (Antichi Maestri, Il Soccombente) è una delle scoperte più belle degli ultimi anni, I miei premi racconta di diverse occasioni in cui ha potuto nutrire disprezzo e coltivare rancore verso le varie eccellenze culturali e politiche attorno a cui ruotano i riconoscimenti letterali. Il libro è gradevole, spesso autenticamente divertente, punteggiato da agrodolci note autobiografiche. Ho avuto la fortuna di leggerlo mentre si svolgeva l’affaire Premio Strega, Geppi Cucciari, Sangiuliano che si lascia sfuggire che lui i libri non li legge, neanche quelli che vota per i premi. Per cui mi è sembrato parlasse con la contemporaneità questa sapida citazione: “Credo che i filarmonici abbiano suonato un pezzo di Mozart. Seguirono alcuni discorsi più o meno lunghi su Grillparzer. Guardando verso di lei mi accorsi a un certo punto che la ministra Firnberg, questo il suo nome, si era addormentata, la cosa non era sfuggita nemmeno al presidente Hunger visto che la ministra russava, molto sommessamente ma russava, russava del sommesso russare ministeriale ben noto a tutto il mondo”. Il libro si trova letto meravigliosamente da Elia Schilton, su RaiplaySound. 4/5

2001 Odissea nello Spazio, 2010 Odissea due, Arthur C. Clarke 1968 e 1982. Tutte le parti presenti anche nel film (2001 è stato praticamente scritto a quattro mani con Kubrick) mi richiamavano le scene del film, tutte quelle non presenti o diverse dal film mi sembravano più o meno superflue, o trattate meglio nel film. 2001 vale come curiosità. Spesso, a cominciare dal monolito e finendo con la stanza spaziale, è estremamente esplicito, dove Kubrick preferisce la non definizione. Per il seguito Clarke si rifà, dove divergono, al film e non al libro. 2010 è quasi del tutto privo di azione, dà qualche spunto in più sui quesiti principali di 2001 (cosa sono i monoliti, che fine ha fatto Bowman) e si sofferma sulla vita d’astronave fatta da americani e russi. Ma non mi sento di sconsigliarli, un giorno credo attaccherò anche gli altri due. 3,5/5 a entrambi

[devo farla più breve]

Non so bene cosa pensare di Lolita, il romanzo di Vladimir Nabokov del 1955. Il lungo racconto dal punto di vista di Humbert Humbert è opprimente, morbosissimo, quindi riuscito, nel suo infinito ruminare sulle ninfette. Ma tutta questa ripetizione del disagio, che sto provando anche in questi giorni con American Psycho, non è forse una cosa di cui io senta così tanto l’esigenza. Mettendo da parte la consolidata posizione nella letteratura moderna, la mia esperienza è da 3/5

Doppio sogno, Arthur Schnitzler 1925, che abbandonai perché non sopportavo i nomi Fridolin e Albertine. È un romanzo breve praticamente perfetto, che forse rileggerò perché mi ha fatto pensare a un sacco di cose interessanti che già non ricordo più. 4,5/5

Memorie di Adriano, Marguerite Yourcenar 1951. Io e questo libro non ci prendiamo, l’ho cominciato inutilmente un paio di volte e solo qualche mese fa sono riuscito a impormelo in audiolibro. Credo interessantissimo se sei uno storico, ma troppo enunciativo, ricorsivo, accorato. 2,5/5. Guanciale d’erba, pubblicato da Natsume Soseki nel 1906, un trionfo di giapponesità, ha però in comune il trattare di estetica ed arte, ma inserisce il tutto in ambienti e spazi significativi e nel racconto delle vicende umane. 4/5

Canada, Richard Ford 2012. Dio quanto ho faticato a finirlo. La prima metà mi sembrava ottima, con una scrittura narrativa e descrittiva ma non in maniera classica, identitaria ma non con la foga postmoderna. Poi arrivano in Canada, e diventa un mattone infinito. 3/5

La pasticceria incantata, della sudcoreana Gu Byeong-mo, 2009. Una roba veramente brutta, scrittura elementare, personaggi piatti, una spruzzata di Harry Potter e lampi di efferatezza. 1,5/5

Una cosa divertente che non farò mai più, David Foster Wallace 1997. Ci sono libri che posso comprendere come siano stati scritti, libri possibili che trovano la loro forza nella personalità dello scrittore, come questo o le cronache di Hunter S. Thompson, e altri che non riesco a concepire come possano essere elaborati dalla mente di un essere umano, come Infinite Jest o Solomon Gursky è stato qui. Una cosa divertente è il gustoso reportage di Wallace dal mondo rinchiuso nelle navi da crociera. Una delle cose più divertenti di Una cosa divertente è che, dopo aver impiegato gran parte del libro per far risaltare l’assurda maniacalità della crociera nel viziare i suoi ospiti e l’esigenza degli ospiti di essere viziati nei modi più assurdi, l’autore si lamenta, verso la fine, dell’esistenza di navi che sono strutturate e organizzate per viziare in maniera ancora più efficace. E allora molte cose sulla sua nave si rivelano precarie, non abbastanza perfette, gli spazi angusti. Ci si abitua in fretta a tutto, a qualsiasi costo, specialmente se il costo è sopportato da altri. 4/5

Lamento di Portnoy e Nemesi, Philip Roth 1969 e 2010. Io e P. Roth non andiamo troppo d’accordo. Io lo leggo, ma stento ad avvertirne la grandezza diffusamente celebrata. Portnoy mi stava piacendo, nella prima parte in cui l’ossessione erotica e le pressioni ebraico familiari si completano e giustificano a vicenda. Poi si avvita, ancora e ancora, e sfrange. Nemesi è forse la sua cosa peggiore che abbia letto, un’incessante ripetizione del concetto piuttosto elementare Perché il signore mi/ci fa questo? Portnoy 2,5/5, Nemesi 2/5

Baumgartner è l’ultimo libro di Paul Auster, pubblicato nel 2023 quando sapeva bene che poco gli sarebbe rimasto da vivere. Ad Auster voglio un mondo di bene e Baumgartner è un addio consapevole in cui lo scrittore si mostra distintamente, mentre si racconta costruendo le memorie, gli acciacchi e le incerte speranze del suo personaggio. La scrittura di piccole vicende, densissima di pensieri e di vita. 4,5/5

Mattino e sera, Jon Fosse 2000. Testo brevissimo e intenso, che traccia il passaggio sulla terra con la precisione, la nitidezza e il calore di una pennellata. 4/5

Formichità, Charlie Kaufman 2020. Una delle cose più belle lette negli ultimi anni, sicuramente una delle cose migliori della contemporaneità spinta. È il libro per cui più mi dispiace non aver preso appunti, mi dispiace non averne scritto sul momento. Ma è anche un libro che lascia una quantità di immagini e sensazioni estremamente vivide, fatte di sorrisi, disperazioni, incredulità, eccessi, libere illazioni sull’attualità, sulla storia e la storia del cinema, sul cinema reale e inventato, sui pagliacci e le pagliacce, sui pupazzi, su un critico cinematografico che finisce immancabilmente per cadere nei tombini aperti, sullo sbeffeggiare senza freni Donald Trump. Un libro folle, come un Kaufman all’ennesima potenza che non ha il limite di dover portare su schermo quello che scrive; sicuramente (probabilmente) un libro debitore di Infinite Jest, soprattutto un libro da leggere. 5/5

Il fattaccio, Antonio Rezza 2023. Adoro Rezza, quando posso corro a vederlo. E il fatto che si trovi dopo Kaufman non è casuale, perché condivide la caotica frammentazione e la ricercata assurdità della storia e dei personaggi. Ma quella di Rezza è una follia che funziona molto meglio in teatro che sulla pagina, dove appare forzato e autoindulgente nel dilungarsi per raggiungere il numero di pagine necessario. 2,5/5

Il deserto dei Tartari, Dino Buzzati 1940. Ero probabilmente tra i pochi a non averlo letto, ma, d’altra parte, l’età giusta è questa. Poco da dire, un gran libro, modernissimo nel suo essere sospeso, magistrale nel descrivere l’attesa, la paura per l’attesa, la paura che l’attesa finisca. Curioso, poi, come un concetto come la ricerca di una morte onorevole in battaglia sembri una follia endemica e romantica se relazionato ai giapponesi, mentre applicato agli italiani è soprattutto farsesco. 4,5/5

L’anomalia, Hervé Le Tellier 2020. Un libro di fantascienza, o fantastico, o di fantascienza mistica speculativa esistenzialista, non particolarmente innovativo, ma ben congegnato e ben scritto. Un meccanismo che fila senza intoppi, che mi offre la possibilità di chiudere questa avvincente rassegna con un allegro passo sul vaso di Pandora: “Un solo male è troppo lento per scappare, o, forse, si limita a obbedire alla volontà di Zeus, quel male è Elpis, la Speranza. È il peggiore di tutti i mali. È la speranza che ci proibisce di agire, la speranza che prolunga la sventura degli uomini, giacché, contro ogni evidenza, tutto si aggiusterà”. 3,5/5

Minima Immoralia, maxisanatoria di film vari ed eventuali

Armageddon Time – Il tempo dell’apocalisse (James Gray 2022), a dispetto del titolo emmerichiano, quello di Gray è un piacevole titolo di formazione, presumibilmente d’ispirazione autobiografica, immerso negli anni ’80 americani. Ben equilibrato, più di una manciata di ottimi interpreti (Anthony Hopkins, Jeremy Strong, Anne Hathaway…), regia solida, meriterebbe di essere conosciuto di più. 4/5

The Party (2017), tragicommedia lampo, teatrale e in bianco e nero di Sally Potter, con un mucchio di attoroni (Kristin Scott Thomas, Cillian Murphy, Timothy Spall, Patricia Clarkson, il nostro amico Bruno Ganz) variamente esasperati dall’esistenza. Assolutamente godibile. (3,5/5)

Saltburn (Emerald Fennell 2023), per qualche momento è stato il caso del momento, su Amazon. L’impianto teorico è molto vicino a Il Talento di Mister Ripley, ma è un film estremamente estetizzante e didascalico, e ridotto a prodotto social il suo impatto è stato limitato a una scena e poco più. Molto diversa, ma anche molto più riuscita, la più o meno contemporanea serie Ripley. 2,5/5

Il Talento di Mr. Ripley (Anthony Minghella 1999), filmone decisamente anni ’90, recuperato sulla scia della serie. Impianto pop, montaggio serrato, dimostra tutti i suoi anni e anche qualcuno in più, ma ha il suo perché. 3,5/5

C’è Ancora Domani (Paola Cortellesi 2023), film perfetto per le sfrenate polarizzazioni del pubblico online, ho il problema di non potermi accomodare da nessuna delle due parti. Pur condividendo a pieno le basi teoriche e anche didattiche, non posso negare che mi sembri un film con più di qualche problema di scrittura e scolastico dal punto di vista registico, che si preoccupa di più di realizzare scene con messaggi importanti, che di costruirle in maniera coerente. Comunque una interessante opera prima, dal successo innegabile. 3/5

Foglie al Vento (Aki Kaurismäki 2023), un film così Kaurismäki che il nostro non ha pensato di doverci mettere molto altro. Quadri fissi, silenzi, una storia kaurismakamente romantica, un accenno di mondo esterno allo sfascio. Più che un film una firma, un tag. 2,5/5

Il Pataffio (Francesco Lagi 2022), film italiano comodamente su Netflix, credo piuttosto oscuro (ma magari sbaglio, e ha anche lui la sua fanbase). Avventure cavalleresche e scalcagnatissime del Marconte Berlocchio (un Lino Musella assolutamente in parte), evidenti i richiami a Brancaleone. Alcune scene sono telefonate e sfilacciate, ma il film porta anche qualche risata e un notevole carico di amarezza. Si lascia vedere. 3/5

Il Mondo Dietro di Te (Sam Esmail 2023), altro titolone Netflix tendente al flop galattico. Film per molti versi ingiustificabile, ha buoni momenti che ricordano un Rumore Bianco meno ermetico, poi sceglie una strada del tutto sconclusionata. 2/5

La Terra dei Figli (Claudio Cupellini 2021), tratto dall’angosciante e postapocalittica graphic novel di Gipi (che già non è fra le sue migliori), ne riproduce il senso di perdita e disperazione, ma dovessi dire che c’è qualche invenzione che mi ha particolarmente colpito, mentirei. Sensazione simile, ma ancora più scarna, per L’ultimo Terrestre (Gianni Pacinotti 2011). 2,5/5 a entrambi

Los Colonos (Felipe Gálvez, Felipe Gálvez Haberle 2024), cruda e annichilente storia di frontiera (quella fra Argentina e Cile), fatta di spazi di cui appropriarsi, sopraffazioni, violenze (visivamente non troppo esibite, ma molto presenti). Ricorda sia gli spazi di Malick che la mancanza d’aria di Kelly Reichardt. Alcune immagini e scene davvero notevoli. 4/5

Old Fox (Ya-chuan Hsiao 2023), taiwanese, miglior film visto nella rassegna dedicata al Far East Film Festival, e ottimo film in assoluto. Solida sceneggiatura di stampo classico, sulla conoscenza / confronto / rivalità / identificazione tra un ragazzino tipicamente sfortunato, bullizzato e intelligente, e l’anziano boss di quartiere. Bello, bravo. 4/5

Takano Tofu (Mitsuhiro Mihara 2023) è invece il titolo giapponese che il FEFF l’ha vinto. Storia edificante di padre e figlia, crescita e invecchiamento, susseguirsi di stagioni. Carino, confezionato per esserlo, molto più usuale del titolo citato su. 3/5

Tales of Taipei (AA.VV. 2023), ultimo titolo visto del FEFF, è un film a episodi realizzato da una decina di registi taiwanesi più o meno emergenti. Diverse tematiche, stili, riferimenti di genere, ma, per la verità, poco o niente che convinca davvero. Stracolmo eppure poco consistente. 2/5

Un Divano a Tunisi (Manele Labidi Labbé 2019), deliziosa, piccola commedia con un’altrettanto gradevole Golshifteh Farahani (Paterson). 3,5/5

Drive Away Dolls (Ethan Coen 2024), se l’escursione solitaria dell’altro fratello Coen, il The Tragedy of Macbeth di Joel, è riuscita alla grande, lo stesso non si può dire per questo film. Più di un occhio strizzato a Tarantino, anche se si può giustamente parlare di un ritorno alle dinamiche dei loro primi film (Blood Simple, Arizona Junior), ma perdendosi per strada. Alcune cose buone, senza colpa le protagoniste (Margaret Qualley, Geraldine Viswanathan), ma troppo sfilacciato il tutto, alla ricerca di un grottesco che, purtroppo, non fa ridere. Cosa che succede anche in alcuni titoli del duo, specialmente anni ’00. Quindi è interessante vedere esprimersi separatamente le due anime, la geometria e in cazzeggio, il dramma e la farsa, ma questo Drive Away Dolls tira verso il pasticcio. 2,5/5

Unfrosted (Jerry Seinfeld 2024), allegra, demenziale, puramente americana comedy a firma Seinfeld comparsa su Netflix. Per una serata molto spensierata fa il suo lavoro, anche con eventuale pubblico giovanissimo. 3,5/5

[sono stanco]

Inu-oh (Masaaki Yuasa 2021), lungometraggio animato dell’indubbiamente talentuoso Masaaki Yuasa, dal Giappone. Il film ha invenzioni visive notevoli, bizzarre e originali, ma tutta la seconda parte vira sull’opera rock decisamente ripetitiva. Molto interessante, ma un po’ ti affossa. 3/5

Civil War (Alex Garland 2024), mi piace Garland, ha fatto cose che mi piacciono molto (come Devs, ma anche Annientamento), e altre meno, in cui sembra voler infiorettare discorsi intimamente banali. Civil War è una via di mezzo, sembra, in gran parte, l’antefatto di The Road, o la sua trasposizione qualche decennio prima. Il discorso sull’immagine come testimonianza e racconto è molto esplicito, ed è anche la parte, credo, con maggiori licenze riguardo la verosimiglianza. Gli intermezzi pop con orrori su pezzi dei Suicide e altri sono coinvolgenti, ma la creazione delle clip è molto esibita, dà un senso di posticcio. Non mi è dispiaciuto, ma speravo mi sarebbe piaciuto di più. 3/5

Monster (Kore’eda Hirokazu 2023). Il giapponese Kore-eda è sempre bravo, non credo ci siano in giro molti altri autori con la sua solidità di scrittura e regia, con una visione del cinema così definita ed efficace. Anche questa una storia di crescita, di formazione, ben intrisa delle rigidità e le contraddizioni della società nipponica. Filmone. 4/5

Godzilla Minus One (Takashi Yamazaki 2023), l’ultimo Godzilla della cucciolata, che si rivela a 70 anni dalle intemperanze del capostipite, è un Godzilla pienamente anni ’50: ingombrante, divertente, atomico, animalesco. Infatti funziona. 3,5/5

[ho finito, ma a quale prezzo?]