Succession, Queen’s Gambit, La Ragazza del Tempo, Dune e un sacco d’altra roba come buttata su un diario

Dalle ultime settimane, in alcuni casi gli ultimi mesi, cose sparse cominciando da Succession, due stagioni di serie tv che ha vinto una quantità di Emmy. Sorpresa sorpresa: meritatamente. Da parecchio non mi sparavo un drama con simile costanza, l’ho cominciato dopo aver abbandonato The West Wing, ennesima conferma dell’intimo conservatorismo che Sorkin cela dietro la sua logorrea fintamente brillante. Succession è quello che Sorkin non riuscirà mai a fare, una piece caustica sul potere, sulla famiglia, sui genitori che divorano i figli, sul sarcasmo con cui alcune cose andrebbero punite, il tutto messo in scena da attori enormi. Ci sono Shakespeare, DeLillo, Altman, la fame americana storica e contemporanea, in una regia a seguire, che con piccoli scatti della camera cerca dettagli, movimenti, nuche, a volte trova ampi paesaggi e architetture che in altre occasioni avrebbero portato a lunghe inquadrature paniche, qui sono schiaffi di massimo due secondi, perché a Succession soprattutto interessa prenderti a schiaffi (4,5/5). Cosa metterci dopo? Una cosa che non c’entra niente, The Duchess, su Netflix, una veloce comedy britannica che fa spesso ridere, 6 puntate da 20 minuti, praticamente un film, con una madre sboccacciata e i personaggi stralunati che le girano attorno. È una serie singolarmente volgare e al tempo stesso indubbiamente raffinata, consigliata (3,5/5). Rimanendo in zona femminile e comedy, pur in senso piuttosto ampio, su One Mississippi, due stagioni su Prime, avrei voluto scrivere qualcosa in più, ma poi mi sono distratto. Avrei voluto perché è un qualcosa di godibile e immediato, ma anche di ampio e stratificato. Realizzato da Tig Notaro e Diablo Cody, racconta la vita della prima attingendo parecchio alla sua vita reale. Racconta il suo tumore al seno, la sua vita sentimentale, le difficoltà dell’essere donna e dell’essere donna e omosessuale, sempre con un linguaggio che oserei definire unico, nel suo essere incisivo e delicato al tempo stesso. Si può poi integrare l’esperienza guardando i suoi spettacoli, altrettanto legati alla sua vita, sono su Netflix. One Mississippi: 4/5. Kipo, sempre Netflix, parliamo di una serie per bambini, per bambini scafati, di una serie animata che si sviluppa in tre stagioni ed è una delle storie più compiute e curate che si possano trovare in giro, e non solo fra le cose per bambini. Una roba fantascientifica, apocalittica, spigolosa, lisergica, divertentissima, miyazakiana, piena di bestie, di amici e nemici che diventano amici, di musica, di mutazioni, di mondi. Non lasciatevi respingere dai colori pieni, dall’animazione a prima vista poco raffinata, sparatevelo con o senza pargoli (4/5). La Regina degli Scacchi – The Queen’s Gambit, è il titolone del momento, e in sostanza se lo merita. Una storia quasi fiabesca, che comincia in un orfanotrofio negli anni ’50 e mette la sua protagonista in questa e molte atre situazioni potenzialmente drammaticissime, e invece conserva un registro che quasi abbraccia lo spettatore. Tutto azzeccato, colori, personaggi, musica, brava lei, intreccio di eventi e ricostruzione affettuosa degli anni, le partite a scacchi girate a metà fra una partita a poker e un incontro di boxe, ko compresi; niente di rivoluzionario ma tutto molto bello (4/5). Finiamo in bruttezza? La seconda stagione di The Boys, su Prime, è una delle più grandi truffe in cui sia inciampato ultimamente, un’accozzaglia di pezzettini mal gestiti al servizio della retorica più sfrontata e didascalica, un ditino fintamente puntato contro l’America con un linguaggio farlocco che cosa più americana non c’è (2/5).

Qualche film, purtroppo non li ricordo tutti, per questo devo segnarmi le cose. La Ragazza del Tempo – Weathering with You, è il nuovo film d’animazione di Makoto Shinkai, l’autore di Your Name. Per grandi e piccini (ma non troppo piccini), sicuramente una cosa bella vista ultimamente; più intimo e riflessivo di Your Name, La Ragazza del Tempo è una storia fantasiosa e romantica che racconta l’incontro, il sacrificio, lo smarrimento e la perdita, il tutto con alcune scene visivamente ragguardevoli. Notevole (4/5). Altro cartone, Over the Moon, su Netflix, è una produzione di Stati Uniti e Cina, con quest’ultima come punto di riferimento estetico. Qui, all’interno di un registro pienamente adatto all’infanzia, l’elaborazione della perdita è centrale. Molte immagini sono piacevoli, la protagonista, alle prese con un viaggio fantastico, è degna di affezione, ma nel complesso il mondo di Over the Moon sembra un po’ vuoto, è un film più definito nel suo messaggio, intrecciato con le figure delle fiabe cinesi, che nel modo per renderlo spettacolare. Comunque, gradevole (3/5). Siamo a Natale, vale la pena far presente che anche la recente trasposizione de Il Richiamo della Foresta, quella con dentro Harrison Ford, è una visione piacevole. Film del tutto familiare, smussato in tutte le parti potenzialmente dure che ha il romanzo di London, ma apprezzabile anche in questa scelta di massima fruibilità. Gli animali, Buck in primis, sono del tutto digitali, ma l’effetto è meno straniante di quanto temessi. Infatti non c’è una vera ricerca di verosimiglianza, è come se all’interno degli scenari reali siano integrati personaggi d’animazione, che anche nell’espressività e le interazioni ricordano le bestie antropomorfe dei classici Disney. Buon ritmo, buoni sentimenti, bei paesaggi, e Ford meglio qui, finalmente vecchio, che falso giovane con il giubbetto di pelle dell’ultimo Han Solo (3,5/5). Mettiamo pure una roba per grandi: Palm Springs, film reperibile su Prime con la faccia buffa del tizio di Brooklyn Nine-Nine e quella carina della tizia di How i Met Your Mother. È un film in piena rivisitazione de Il Giorno della Marmotta, con qualche variazione diretta a portare il tutto su binari più romantici. È un piccolo film, gradevole, ma qualcosa di realmente utile a distaccarlo dalle aspettative più immediate, in verità, non c’è (3/5).

Memorie del Sottosuolo è un breve scritto in cui Dostoevskij dice un sacco di cose. Parla del suo tempo e di sé, si maltratta e si nasconde, ricerca l’umiliazione soprattutto per dimostrare quanto disprezzi il prossimo, e quindi per disprezzare doppiamente sé stesso. C’è tanta sofferenza in Memorie del Sottosuolo, spesso trattata con uno spietato humour. Ma su una cosa del tutto diversa soprattutto volevo lasciare qualche appunto, il ben più corposo primo tomo di Dune, di Frank Herbert, 1965. Un film volevo vedere io quest’anno, ed era il Dune di Villeneuve, che hanno rimandato al TREMILA. Ad ogni modo, avevo affrontato questo mattone miliare della fantascienza mondiale per arrivare preparato. Scherzo, in realtà Dune fila via molto più agevolmente di quanto credessi e mi è piaciuto parecchio, fra i libri “narrativi”, cioè dedicati al racconto di una storia e non all’autore e la sua scrittura, uno dei più convincenti, nella mia esperienza. Dune ha tante anime, è tante cose, un’epopea psichedelica e iperbolica dove le donne “Bene Gesserit” hanno sviluppato doti affabulatorie tanto persuasive da essere assimilate alle streghe, gli uomini “Mentat” sono capaci di immersioni nella logica (spesso più millantate che effettivamente sconvolgenti, c’è da dire) che toccano il sovrannaturale e li svuotano dell’umanità. C’è tantissimo in Dune. Lunghi capitoli dall’impostazione teatrale, che si spiegano con le fitte voci del pensiero e i dialoghi complessi. Ci sono mondi che modellano gli esseri che li abitano, esseri che si adattano per inseguire la vita in ogni condizione. Questo forse l’aspetto più interessante, la mutazione dell’essere umano resa nel racconto come acquisita, che consente di confondere l’ambiente con le personalità: ogni personaggio incarna la sua terra e ogni terra incarna  e determina un carattere, così ogni incontro o scontro diventa un confronto fra mondi. C’è la costruzione di un universo toccando ogni aspetto, c’è anche l’azione e la meraviglia, e un modo indiretto di raccontare unioni e sentimenti che presenta un’eleganza che non credevo di trovare. Avrei voluto scriverne confrontandolo, almeno, con il film di Lynch visto ere geologiche fa, ma non ho ancora avuto modo di rivederlo, dunque per il momento questo è tutto.

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